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Siamo tutti indignati

Chi per una ragione chi per un’altra siamo sempre di più ad essere indignati.

Anche io, naturalmente, sono indignato per un insieme di motivi, a cominciare dal comportamento di quei giovani incappucciati che il 15 ottobre scorso, a Roma, si sono infiltrati tra i cittadini che pacificamente manifestavano la propria indignazione verso le tante ingiustizie esistenti nel nostro Paese.

Questi giovani violenti hanno incendiato macchine, rotto vetrine di negozi, danneggiato persino immagini sacre e ferito persone anche tra le forze di polizia che erano presenti per tutelare il diritto dei cittadini a manifestare.

I colpevoli di queste inqualificabili azioni vanno severamente puniti e non, come spesso avviene, rimessi in libertà dopo una “tirata di orecchie”.

Sono indignato, come tanti altri cittadini, per il comportamento di molti politici, appartenenti a tutti gli schieramenti, che invece di occuparsi del benessere dei cittadini litigano tra loro per ottenere poltrone e pretende e passano da un partito all’altro per tornaconto personale.

Mi chiedo come si possa non essere indignati nei confronti degli speculatori della grande finanza che si sono arricchiti assieme agli azionisti e dirigenti delle grandi Banche, nazionali e internazionali, con la connivenza di molti faccendieri e personaggi politici, responsabili di aver causato l’attuale crisi economica mondiale. Alcuni di questi avventurieri sono noti: perché non vengono costretti a restituire il denaro rubato?

La crisi è ancora in atto anche perché molti sistemi economici, come quello italiano, si basano su una concezione medievale del lavoro che considera i lavoratori come “merce” e non come persone che sono i veri artefici della ricchezza e del benessere.

Ancora oggi, negli anni 2000, vige la legge del più forte, cioè di chi detiene il potere ed il denaro, mentre per le giovani generazioni, soprattutto per le donne, la vita si fa sempre più dura, senza lavoro e con incerto futuro.

Viviamo in un’epoca nella quale chi è ricco diventa sempre più ricco e chi e povero diventa sempre più povero, perché circa l’80% della ricchezza è concentrata nelle mani del 20% della popolazione.

Le proteste degli ultimi tempi, in molti Paesi, dovrebbero fare riflettere “la classe opulenta” del mondo occidentale, compreso i grandi capitalisti italiani, e convincerla che è ora di smettere a comportarsi da “predoni”.

La soluzione dei problemi venuti alla luce dalla recente crisi dipende dalla collaborazione tra la classe politica, i cittadini, le imprese e le Banche, oltre che da un nuovo modo di “fare impresa”, se non ci sarà questa collaborazione saranno gli imprenditori stranieri a farla da padroni in casa nostra come già sta avvenendo.Il nuovo modo di fare impresa deve essere sostenuto da una politica che favorisca l’inserimento nel processo produttivo del grande patrimonio e della grande risorsa presente nel nostro Paese che è costituita dalle competenze dei lavoratori ed in particolare dei giovani.

I lavoratori non possono più essere considerati come “merce “, da ottenere a poco prezzo, ma come persone da associare alle iniziative imprenditoriali in modo da dar vita ad una società coesa e solidale nella quale siano riconosciuti i meriti e diritti di ciascuno, anche attraverso una più equa distribuzione della ricchezza.

L’indignazione si ha anche nei confronti di quanti vorrebbero espellere i valori etici e morali dalla politica e dall’economia e ridurre tutto all’aspetto materiale della vita.
Un messaggio di ottimismo e di speranza ci viene dalle più importanti organizzazioni imprenditoriali che s’ispirano ai principi della Dottrina sociale cristiana, tra le quali Unimpresa.
La giusta via da percorrere è stata ricordata, ancora una volta, da Benedetto XVI: “in economia occorre una sintesi armonica tra lavoro e famiglia”. Ciò sarà possibile con “una nuova generazione di uomini e di donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune”.

Bruno Latella, presidente onorario Unimpresa

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