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Ma veramente l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro?

A giudicare dall’enorme numero di disoccupati sembrerebbe fondata sulla finanza pazza e speculativa la quale genera molto denaro solo per chi è già ricco e molta disoccupazione, specialmente per i giovani, forse perché la Democrazia fa una timida apparizione solo nel mondo della politica ed è completamente assente nel mondo del lavoro sul quale (stando alla Costituzione italiana) è fondata la nostra Repubblica. Molti italiani avevano sperato che il Governo Tecnico, per limitare i danni provocati dalla grave crisi avrebbe, come prima cosa, utilizzato nel modo migliore le tante risorse esistenti nel nostro Paese, a cominciare dai milioni di giovani senza lavoro e da coloro che il lavoro lo hanno perso e non sanno come portare avanti la famiglia. Invece non solo è stato fatto poco (o niente) per utilizzare il patrimonio umano che rimane inutilizzato ma è stata sbarrata la strada alla democrazia in campo economico, contrariamente a quanto previsto dagli art. 1-3 e 46 della Costituzione. Il Governo ha voluto porre forti vincoli alla libertà degli imprenditori e dei lavoratori di trovare intese condivise per organizzare e sviluppare (nell’ambito di regole ben precise in difesa delle parti) i rapporti di lavoro all’interno delle aziende, nel loro interesse e nell’interesse del bene comune dell’intera società. Limitare solo a 3 (tre) lavoratori la possibilità di associarsi con l’imprenditore nella conduzione di un azienda è, a dire poco, pazzesco. Il provvedimento del Governo è stato ispirato dalla totale mancanza di fiducia che lo Stato nutre nei confronti dei cittadini italiani, i quali, quasi sempre, di conseguenza ricambiano la sfiducia: da qui l’aggravamento dei guai nel nostro Paese. Lo Stato, giustamente, contrasta in ogni modo la fuga all’estero di capitali monetari mentre nulla fa per impedire la fuga di oltre 100.000 giovani laureati e diplomati che ogni anno varcano i confini italiani per mettere a frutto le proprie intelligenze e le alte professionalità in altri Paesi. Si stima che il solo valore monetario di questo capitale umano (costo sostenuto dalla nascita al diploma o laurea) si aggiri sui 15 miliardi l’anno, oltre alla perdita dei preziosi apporti per lo sviluppo della nostra economia. Oggi bisognerebbe premiare e non punire le imprese disposte ad associare lavoratori nelle aziende: ne guadagnerebbe la produttività complessiva, proprio perché i lavoratori, divenuti “coimprenditori”, anche se in quota minoritaria, lavorerebbero di più e meglio e di conseguenza diminuirebbe la conflittualità. Bisogna aggiungere che non si può rimanere impassibili di fronte agli scandali e alle ruberie da parte di molti politici e di pirati economico – finanziari che si appropriano, mensilmente, di somme di denaro superiori a quanto piccoli imprenditori e lavoratori onesti non si sognano di poter guadagnare in una vita intera di sudato lavoro. Non è più possibile andare avanti con una mentalità ottocentesca della politica e dell’economia. Occorre frenare la corsa verso il “dio denaro” ed introdurre l’etica e la morale nella produzione e distribuzione della ricchezza secondo principi rispettosi della dignità umana. Auguriamo che i nostri governanti trovino la capacità ed il coraggio di cambiare l’attuale rotta e di dare cittadinanza alla Democrazia anche in campo economico in modo da favorire la realizzazione di una nuova società nella quale prevalga la giustizia e la solidarietà tra le persone.

Bruno Latella, presidente onorario Unimpresa

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