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I ritardi del Governo Conte e il rischio di un naufragio collettivo del sistema imprenditoriale italiano

di Marco Salustri

Si potrebbe pensare che la notte di San Lorenzo sia arrivata in anticipo quest’anno, ma a cadere non saranno stelle che illuminano le calde notti d’estate. Le nostre imprese faranno lo show nel cielo e sarà uno spettacolo agghiacciante, degno del peggiore dei film horror anni 90’.

Le imprese, ormai allo stremo, vedranno applicarsi il test delle società di comodo, disciplinato con l’articolo 30 della legge 724/1994 che, attraverso un test basato su percentuali di ricavi, in relazione ad alcune poste di bilancio, dirà alle imprese se sono “operative” o meno. In caso gli indici dessero esito negativo il risultato, per le imprese,  sarebbe di vedersi applicare un’aliquota Ires maggiorata di oltre 10 punti percentuali (con un’aliquota Ires complessiva di oltre il 34% !). Non si registrano segnali veri di riduzioni fiscali per affrontare questa crisi che sembra non rallentare mai. Si dovrebbero: azzerare gli acconti Ires e Irap; ridurre e rimandare il saldo imposte a dicembre 2020; sterilizzare ISA (ex Studi di Settore) per evitare che lievitino le imposte in caso di un punteggio basso; annullare l’Iva per alcuni mesi per dare un forte shock ai consumi; sospendere gli accertamenti ex 36 bis e ter (avvisi bonari), tra quelli che meriterebbero la sospensione dei versamenti, nonché molte altre iniziative che sono già state scritte e suggerite al Governo, che soffre di una grave forma di ipoacusia (causata forse dell’implosione del bazooka di Conte?).

Il premier Conte “si scusa” per il ritardo con cui l’Inps sta erogando i 600 euro per il sostegno alle famiglie e già parla di aumentare le somme a 800 euro. Il problema è capire chi veramente abbia percepito finanziamenti, perché il fondato timore è che l’istituto abbiamo ormai esaurito fondi necessari per tutti. Per non citare la beffa agli autonomi, iscritti a casse private, i quali hanno compilato la domanda più di un mese fa, ancora in lavorazione, neanche si trattasse di un prestito da un 1 milione di euro!

Ritardi infiniti, da parte delle Istituzioni europee, nel fornire risposte alle incessanti richieste da parte dell’Italia in merito alle misure finanziarie per l’emergenza. Verrebbe da pensare che sia una manovra europea per indebolire del tutto le già fragilissime imprese italiane per poi impossessarsene. Si ricorda, infatti, che ci sono numerose  costellazioni d’imprese che non raggiungono il mezzo milione di fatturato, ma che hanno un know how elevatissimo (specialmente nella componentistica progettata da ingegneri di eccellenza). In tutto questo il premier aspetta, inebetito, di essere convocato dai veri padroni dell’Unione Europea e rivendica, in televisione e sulla carta stampata,  per vittorie soltanto vacue promesse.

Le imprese, inoltre, già fortemente indebitate, non hanno alcun interesse ad ottenere prestiti che le esporrebbero ulteriormente nei confronti degli istituti  di credito. E’ facilissimo prevedere le conseguenze: chiusura definitiva dell’attività, con i lavoratori e le rispettive famiglie sul lastrico, o vendita delle quote a società straniere “affamate” di acquisire le competenze italiane che sono uniche nel panorama mondiale o, peggio ancora, essere cedute, in modo sotterraneo, ad organizzazioni criminali che estenderebbero le loro mani a 360 gradi su tutto il territorio nazionale. L’Italia come una nuova Colombia!

E’ bene che i nostri figli imparino, da subito, la lingua francese, tedesca e, soprattutto, cinese. Proprio la Cina, dopo aver messo in ginocchio l’economia mondiale, potrebbe, infatti, iniziare una feroce politica di acquisizione di società, come d’altronde ha già fatto con importanti brand del settore alimentare e nautico. Dovremmo fare tesoro delle esperienze del passato per evitare di fare la fine del Kenya, Angola, Botswana, Sud Africa che sono ormai estensioni geo-politiche della Cina. Con le intuibili conseguenze di ordine politico-istituzionale: da democrazia parlamentare a colonia di una dittatura.

Un platea d’imprese, infine,  sta aspettando che qualcuno si ricordi del proprio codice Ateco per capire se e quando ripartire. Parliamo di una platea vastissima e completamente dimenticata quale, a titolo esemplificativo e non esaustivo: palestre, toelettature per animali, diving centers e lavoro marittimo in generale. Non è dato sapere se riapriranno prima di settembre, in quanto la prima considerata ad alto rischio, la seconda al pari dei parrucchieri e la terza ludica e, quindi, di “poca importanza”. Bisognerebbe ricordare che, per le prime, viene stimato un miliardo di euro di perdite e oltre 200.000 posti di lavoro persi, la terza un aggravio dell’indotto che si ripercuote sulle strutture ricettive, quali alberghi e ristoranti che sono già devastati da questa epidemia, oltre che alla perdita di un indefinito numero di posti di lavoro per coloro che esercitano questa attività tutto l’anno. Non dimentichiamo, infatti, che l’Italia è un paese con una forte connotazione marittima.

Se si dovessero già trarre le conclusioni e dare un voto a questo Governo, esso sarebbe eufemisticamente un  “non classificato” in quanto ha fatto tutto male fin dall’inizio, ritardando moltissimo la chiusura di questo paese e gestendo ancor peggio la crisi di liquidità indotta dal virus.

Rimaniamo, ad oggi, in balia delle onde senza un esperto timoniere che sappia affrontare la tempesta come i capitani di un’altra epoca.

Il rischio rimane un naufragio collettivo del sistema imprenditoriale italiano e, addirittura, del nostro paese.

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