Uno studio appena pubblicato dalla Bce ha dato una nuova dimostrazione che la crisi dell’eurozona ha subito provocato una stretta creditizia, che si è tradotta in prezzi più costosi per avere credito, condizioni più difficili per l’accesso, tasso di rifiuti in aumento e anche una riduzione della domanda di credito da parte delle imprese e delle famiglie per “sfiducia nelle banche”.
Nonostante il fenomeno della stretta attraversi l’intera Europa, la sua manifestazione ha registrato diversi gradi di gravità nei singoli paesi. Rispetto a Francia e Germania, l’Italia è il paese dove le banche hanno reagito con maggiore violenza, raddoppiando la difficoltà (e il costo) di accesso al credito.
L’Italia si prepara ad affrontare una difficile fase recessiva e il tasso di crescita degli impieghi bancari ha già incominciato a mostrare una marcata flessione (attestandosi negli ultimi mesi su valori vicini al 3%, largamente inferiori a quelli di inizio 2011). Recenti indagini evidenziano, inoltre, un forte aumento della quota di imprese che segnala un peggioramento delle condizioni di accesso al credito (nell’ultimo trimestre è aumentata la percentuale di imprese che si sono viste negare, in tutto o in parte, l’ammontare del finanziamento richiesto) e la Bank Lending Survey della BCE indica un irrigidimento dei criteri di erogazione dei prestiti alle imprese, soprattutto per effetto delle maggiori difficoltà di raccolta da parte delle banche.
Le banche italiane condividono la necessità di un rinnovato quadro di regole prudenziali a maggior presidio della stabilità bancaria e del governo dei rischi. Basilea 3 non tiene però adeguatamente conto dei diversi modelli di business e delle vere cause che hanno scatenato la crisi finanziaria. L’approccio estremamente rigoroso sul capitale e la scelta di far passare in secondo piano altre misure sono penalizzanti per le economie, come l’Italia, che fanno perno sulle banche per il loro finanziamento.
L’adeguamento ai nuovi requisiti di capitale rappresenterà un percorso non facile per molte banche. Le nuove regole richiedono un miglioramento nella qualità e quantità di capitale che, se fosse applicato da subito, imporrebbe alle banche aggiustamenti significativi nei bilanci con effetti negativi sulle possibilità di mantenere livelli di offerta del credito adeguati alla domanda di finanziamento di famiglie e imprese.
In questo contesto, le banche commerciali italiane, pur soffrendo relativamente meno delle colleghe europee, vista la possibilità di fare raccolta sul mercato retail, stanno riducendo significativamente i propri impieghi a medio-lungo termine sul banking book, sia verso i privati che verso le imprese.
Per molti istituti, l’ordine di “scuderia” verso la rete è: “aumentare la raccolta e limitare al minimo indispensabile gli impieghi a medio termine fino a fine 2012”.
Direi che è tempo di smettere sterili discussioni sull’innocenza delle banche e sulla mancanza di domanda di credito o di coraggio degli imprenditori.
Bisogna ridurre le asimmetrie informative e le opacità che caratterizzano la finanza delle aziende, i criteri di valutazione e i comportamenti delle banche e degli altri attori coinvolti.
Occorre una stagione di nuova consapevolezza dei fabbisogni finanziari delle imprese, con stanziamenti e disponibilità di risorse pubbliche e private destinate a rafforzare il capitale di rischio.
Si rende necessario, altresì, sviluppare nuove modalità di analisi, valutazione e selezione degli investimenti e costruire nuovi meccanismi di allocazione del credito.
Paolo Longobardi, presidente Unimpresa
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