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Stalking religioso tra sensazionalismi e obiettività

di Sabrina Grisoli

Una sentenza del 10 aprile 2015 del Tribunale di Brescia sembra coniare tale fattispecie nel condannare un medico libanese (ma residente da ormai decenni in Italia) per atti persecutori nei
confronti della moglie italiana e madre dei suoi 4 figli, nonché nei confronti di questi ultimi.

Il matrimonio misto (lui di religione musulmana, lei cattolica) sembrava nato e prosperare sotto i migliori auspici, ma con il passare del tempo, sopratutto con la nascita dei tanto desiderati figli, qualcosa ha iniziato ad incrinarsi.

Nel corso del dibattimento sono emersi, anche grazie alle testimonianze dei vicini di casa, anni di soprusi, maltrattamenti e violenze commessi dall’uomo in danno della moglie e dei figli.
La distanza culturale esistente tra il mondo occidentale e il mondo orientale e la distorsione dei precetti islamici sembra essere il movente sotto la cui spinta il medico ha agito. Vessazioni e violenze sulla consorte perché troppo “libera” e di cui sospettava il tradimento, botte ed umiliazioni ai figli che, ospiti in casa di compagni di scuola, si erano macchiati della colpa di aver mangiato carne di maiale.

Il caso è certamente drammatico, come tutti quelli di violenze incardinate nel contesto famigliare, che da ideale isola di felicità e amore si trasforma in un incubo senza via d’uscita: ma nessun rapporto, in linea generale, può essere a priori dichiarato salvo da una tale degenerazione. Non si deve, in altre parole, cedere alla tentazione di nascondersi dietro il dito, oggi più che mai, del conflitto di religioni, dell’insita violenza nell’islamismo: al contrario, più che mai in questi casi è necessario spogliarsi del pregiudizio per valutare con mentalità lucida la portata offensiva dei fatti oggetto di addebito penale.

UN’INDOLE VIOLENTA PRESCINDE DAGLI INSEGNAMENTI RELIGIOSI

Cercare di creare categorie entro le quali ricondurre una certa tipologia di stalking piuttosto che un’altra, è un’operazione di etichettamento che frammenta troppo una fattispecie di cui invece non bisogna perdere di vista gli elementi essenziali: le minacce e le molestie reiterate che cagionino in chi le subisce un perdurante stato di ansia, un fondato timore per la incolumità propria o di qualche prossimo congiunto o la modificazione delle proprie abitudini di vita.

Qualunque sia il movente che determina un soggetto ad iniziare e portare avanti la sua persecuzione, questo non rileva ai fini della affermazione della sua penale responsabilità.

Il caso concreto infatti ha visto la condanna del medico a due anni di reclusione e 30.000 euro di risarcimento alle persone offese non in quanto propugnatore dei precetti dell’Islam, di cui segue la fede, ma per la modalità con cui l’ha fatto, che si è concretata nel compimento di atti gravemente lesivi della libertà di autodeterminazione dei suoi cari, e nel costringerli a vivere nella paura giornaliera di subire ritorsioni solo per il fatto di essere se stessi.

“SOLO” UN ALTRO CASO DI STALKING

Riportata la notizia entro i limiti della doverosa oggettività, non può non rilevarsi come emerga il comune denominatore tra questa e tutte le altre vicende di stalking che affollano ogni giorno i quotidiani: la prepotenza, la prevaricazione, il sentirsi padroni della vita di un’altra persona e pretendere di asservirne la volontà alla propria. La gelosia, la possessività, il “troppo amore” – un amore malato-, il delirio religioso – non solo islamico-, sono solo orpelli.

Veniamo distratti da ciò che fa solo sensazione, a scapito di ciò che è realmente importante: questa donna come ha trovato la forza di denunciare? E’ stata aiutata da una delle strutture nate per dare supporto alle vittime di atti persecutori e violenze in famiglia, oppure ha trovato il coraggio forse nella paura che le violenze arrivassero ad epiloghi ben più tragici anche nei confronti dei suoi figli? Come verrà garantita la protezione dei famigliari del medico violento, atteso che l’uomo non andrà in carcere per effetto della sospensione della pena?

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