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Papa Francesco scomunica i mafiosi

Nel recente viaggio di Papa Francesco in Calabria, tutti hanno gridato alla novità della scomunica inflitta agli ndranghetisti e, più in generale, a chi non opera per il bene comune. È fuor di dubbio che ogni qual volta il pontefice, ma direi qualunque uomo stigmatizzi in modo chiaro che le mafie non hanno nulla a che vedere con il cristianesimo e con ogni altra religione, fa piacere. Ma siamo certi che questa di Papa Francesco è per i cattolici una novità assoluta? La chiesa è giunta molte volte, anche in un passato recente, a pronunciare, nei confronti della malavita organizzata, parole propriamente cristiane e tipicamente evangeliche, come “peccato”, “conversione”, “pentimento”, “diritto e giudizio di Dio” e “martirio”.
Questi lemma sono stati proferiti con singolare veemenza da Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993, nella Valle dei Templi, presso Agrigento e, mostrando una straordinaria forza profetica, sono state capaci di dare visibilità alla testimonianza di quanti hanno fatto, in questi ultimi vent’anni, della resistenza alla mafia il crocevia, spesso bagnato di sangue, del loro anelito alla giustizia e alla santità. Anche il Papa emerito Benedetto XVI ha rivolto, in occasione della 43ª Giornata Mondiale della Pace, un forte appello “alle coscienze di quanti fanno parte di gruppi armati di qualunque tipo. A tutti e a ciascuno dico: fermatevi, riflettete, e abbandonate la via della violenza! Sul momento, questo passo potrà sembrarvi impossibile, ma, se avrete il coraggio di compierlo, Dio vi aiuterà, e sentirete tornare nei vostri cuori la gioia della pace, che forse da tempo avete dimenticato” Le comunità cristiane del Sud hanno visto emergere luminose testimonianze, come quella di don Pino Puglisi e di don Giuseppe Diana
Dunque la novità non risiede nella condanna ai mafiosi, ma ancora una volta nello stile pastorale del Papa che, di per sé, è una vera e propria enciclica promulgata senza nemmeno scrivere una parola. Papa Francesco ci ha fatto sentire tutti accanto a lui quando ha pronunciato il famoso anatema, una vicinanza coinvolgente che però lascia una consegna. Quale? Quella di non confinarlo nella solitudine nel contrasto al male e nell’esortare alla conversione dei cuori e della vita. Dobbiamo sentirci impegnati in prima persona, gridando e praticando dei “no” molto decisi. No alla corruzione, no all’omertà, no alla ricerca esclusiva della raccomandazione che crea obblighi. Dopo i “no” occorre il forte “sì”. Sì a Cristo nel mondo, Lui nulla toglie e tutto dona. Il contrario esatto dei mafiosi che tolgono persino la dignità.

Alfonso D’Alessio