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Le lunghe liste d’attesa del SSN.

Attuare il Welfare sanitario: iniziativa da ampi margini di crescita da percepire come tra i valori più importanti per pretendere verso un risanamento.

A cura del dott. Marco Massarenti

Non tutti sanno che nel 2019 è stato approvato dalla legge il piano delle liste d’attesa PNGLA con il quale si determinano i tempi massimi di erogazione per le visite mediche: 30 giorni per quelle specialistiche e 60 per gli esami diagnostici. Lo stesso piano prevede un range entro cui deve essere effettuato l’esame: da 72 ore per le prestazioni urgenti a 120 quelli giorni per programmabili.

Per sapere se questi tempi vengono rispettati la norma impone alle regioni di inserire i dati sui loro siti, ma le lascia libere di scegliere il criterio che più gli fa comodo. Così facendo mentre sulla carta le cose sembrano funzionare, nella realtà nasce il caos. Gli ospedali quindi, sono in mano ai governi regionali e ciò vuol dire che in Italia ci sono 20 sanità differenti, dove ogni regione agisce come meglio, o peggio crede.

Le liste di attesa diventano sempre più lunghe e diverse da regione a regione per cui non esiste più un criterio di chiarezza a riguardo. Secondo l’Istat questa situazione venutasi a creare rappresenta quella barriera diventata il principale motivo di rinuncia alla prestazione medica e tutto ciò comporta un aumento della spesa out pocket o di assicurazioni private.

Da alcuni dati rilevati risulta che 17 regioni hanno svolto meno visite di esami di quelli indicati e 16 regioni non dicono se i tempi indicati sono quelli di previsione o quelli che i pazienti hanno realmente dovuto attendere. Per citare un esempio, se nella lista PNGLA il tempo di attesa massimo indicato per una RMI l’attesa è di 30 gg per il 2019 e 27 per il 2020, nella realtà è in media di 12 mesi.

A questo punto, al fine di attuare adeguate misure correttive è stata eseguita un’attività di controllo dei NAS presso presidi ospedalieri e ambulatori delle aziende sanitarie, Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico e strutture private accreditate, permettendo in numerosi casi l’immediata riapertura delle agende di prenotazione che erano state chiuse o sospese. In 195 situazioni i NAS hanno riscontrato la sospensione o la chiusura delle agende di prenotazione; 21 le irregolarità nello svolgimento di attività intramoenia per esubero delle prestazioni concordate con le ASL.

Sono state analizzate 3.884 liste e agende di prenotazione per prestazioni ambulatoriali relative a diverse tipologie di visite mediche specialistiche e di esami diagnostici. Gli accertamenti dei NAS hanno consentito di individuare condotte penali che hanno determinato l’invio all’Autorità giudiziaria di 26 tra medici e infermieri ritenuti responsabili di reati di truffa aggravata, falsità ideologica e materiale, peculato ed interruzione di pubblico servizio.

Sono state accertate, su 761 agende, carenze funzionali ed organizzative dei presidi ospedalieri e degli ambulatori, di personale medico e di tecnici specializzati, di adeguati stanziamenti e attrezzature.

Proprio in tale contesto, gli accertamenti svolti hanno consentito di rilevare condotte dolose relative a 14 dirigenti e medici per interruzione di pubblico servizio, per aver chiuso le agende di prenotazione a luglio / agosto al fine di consentire al personale di poter fruire delle ferie o svolgere indebitamente attività a pagamento.

Rinviati 9 medici per aver favorito conoscenti consentendo loro di essere sottoposti a prestazioni in data antecedente rispetto alla prenotazione. Individuato un medico radiologo svolgere attività privata presso un altro ospedale, pur dichiarandosi in malattia e due infermieri che svolgevano esami ematici a favore di privati.

Sono questi i frutti delle scelte messe in piedi nell’ambito del SSN favorendo così la sanità privata con un particolare speciale: il costo, o meglio la spesa “Out of Pocket”.

Cosa accadrà nel pubblico a seguito di questa offerta sanitaria? E se continuano a mancare i medici, i reparti vengono accorpati, i posti letto tagliati, il personale infermieristico ridotto e le liste d’attesa manipolate? O peggio ancora se dilaga “ la sanità a gettone” che non garantisce continuità di cura?

Quale provvedimento attuare se non il Welfare sanitario? Ovvero quell’insieme di beni e servizi che le aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti e delle loro famiglie per aumentarne il benessere e anche per le aziende stesse.

Optare per una scelta simile infatti, è conveniente per l’azienda, i dipendenti e gli utenti.

Per le aziende che implementano piani di welfare aziendale ci sono alcune agevolazioni date dall’azzeramento del cuneo fiscale; per i lavoratori le somme destinate a welfare aziendale sono escluse dall’imponibile fiscale; gli utenti invece ottengono sicuramente il vantaggio di poter ricevere un servizio efficiente.

Sono molti i benefici che può apportare il welfare sanitario. Dall’ aumento della soddisfazione dei dipendenti, alla riduzione delle assenze per malattia poiché il lavoratore può accedere in tempi rapidi agli esami per una corretta prevenzione e senza preoccuparsi dei costi. Da un clima aziendale migliore, dato che i dipendenti lavorano nelle migliori condizioni possibili fino all’impatto positivo sull’immagine dell’azienda.

Per i dipendenti quindi aumenta il benessere e la qualità di vita e rende più apprezzabile la stessa vita lavorativa. Per le aziende si propende verso un miglioramento delle prestazioni lavorative e incremento della capacità attrattiva dell’azienda nei confronti di potenziali nuove risorse. Mettere in atto un piano di welfare varrebbe a dire quindi essere consapevoli del ruolo sociale che un’azienda sanitaria deve avere.

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