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IL NATALE TRA LA RICERCA DI FIDUCIA E IL DIALOGO COSTRUTTIVO SUL FUTURO

di Paolo Longobardi Presidente onorario di Unimpresa

Paolo Longobardi, Presidente Onorario di Unimpresa

Castellammare di Stabia, 24 dicembre 2022. «Questo Natale è arrivato dopo mesi difficili per tutti e abbiamo a lungo sperato di poter trascorrere le festività con tranquillità. Purtroppo, non sarà così. In questi ultimi giorni ho passeggiato più del solito per le strade. Lo faccio da sempre, perché ritengo il marciapiede il luogo che mi consente di respirare, assieme alle persone che incrocio, qual è la condizione economica e sociale del nostro Paese. Ed è proprio durante le passeggiate di questi ultimi giorni che ho riscontrato i disastri cagionati dalla pandemia, soprattutto sul versante economico».

Con queste parole, iniziavo, due anni fa, la consueta lettera natalizia, poche parole con le quali, ogni anno, mi rivolgo alle associate e agli associati, alle amiche e agli amici, a tutte le persone che fanno parte della grande famiglia di Unimpresa. Riparto dal 2020, l’anno più buio della storia contemporanea: in questi due anni, abbiamo dovuto affrontare momenti assai difficili, con la pandemia da Covid che ha stravolto le vite di tutti noi e ha messo in ginocchio le attività economiche. L’Italia è uscita faticosamente da questa tempesta e ha dimostrato, più di altre realtà, non solo europee, una capacità di resilienza per taluni versi inaspettata.

Molto è stato fatto, tanto altro è ancora da realizzare. Il governo guidato da Mario Draghi ha, senza dubbio, consentito il completamento della campagna di vaccinazione, ha portato il Paese a raggiungere il 9 per cento di crescita del pil nel 2021 e poi ha realizzato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che assicura al Paese oltre 200 miliardi di euro per i prossimi anni. Quest’anno dovremmo sfiorare il 4 per cento di crescita: l’Italia farà meglio di Francia, Germania, Giappone e Stati Uniti. Un risultato strabiliante che, tuttavia, non deve rappresentare il punto di arrivo, soprattutto perché entriamo nel nuovo anno con la prospettiva di chiuderlo in recessione.

Questa mattina la Camera dei Deputati ha licenziato la legge di bilancio che il Senato dovrà approvare definitivamente entro il prossimo 31 dicembre. Nonostante un percorso non agevole in Parlamento, il governo dovrebbe riuscire a evitare l’esercizio provvisorio dei conti pubblici per il prossimo anno, una sciagura che avrebbe cagionato

danni irreparabili, considerando che lo spazio di manovra del governo – da ottobre affidato a Giorgia Meloni – sarebbe stato sostanzialmente pari a zero. Il nostro giudizio sulla “finanziaria” per il 2023 è positivo, specie se consideriamo i tempi strettissimi che l’esecutivo, i tecnici del Tesoro e della Ragioneria oltre che lo stesso Parlamento hanno avuto per predisporre, esaminare e approvare tutto l’impianto normativo. Certo, si tratta di una legge di bilancio fortemente condizionata dall’emergenza energetica, tant’è che 21 miliardi di euro sui 35 miliardi complessivi di fondi stanziati sono destinati al contenimento dei costi delle bollette per famiglie e imprese.

L’Italia ha dimostrato di farcela e di avere le forze per affrontare le sfide del futuro. Ne abbiamo molte davanti: l’innovazione tecnologica, la competizione internazionale, la scuola e l’università, la formazione professionale, il lavoro.

Al governo spetta il compito di rendere il nostro territorio attraente e adeguato alle esigenze moderne: non dobbiamo consentire la fuga di imprese all’estero. Le micro, piccole e medie imprese sono la spina dorsale del Paese, ma abbiamo bisogno anche di aziende di dimensione rilevante, perché sono quelle attorno alle quali fioriscono e operano le pmi del made in Italy. Le grandi imprese stanno sparendo: siamo ancora la seconda manifattura europea, ma c’è qualcosa che non funziona se il primo datore di lavoro, in Italia, è una banca, con 75.000 dipendenti; quando l’industria automobilistica tricolore funzionava a pieno regime, fino a una quarantina di anni fa, i suoi occupati erano più di 250.000.

La fiducia – lo ricordo spesso – è un elemento essenziale per tutti: per i cittadini, per i lavoratori, per chi fa impresa. Va ricercata sempre: un compito che ricade sulla politica, sulle istituzioni e anche su chi, come me, dopo averla fondata, ispira quotidianamente una realtà associativa ormai tra le più apprezzate e rispettate nel panorama nazionale: il nostro ruolo di osservatori attenti ai fatti economici e alla società in generale è riconosciuto da tutti. Ciò rappresenta al tempo stesso motivo di orgoglio e anche la consapevolezza di avere una responsabilità non ordinaria nel dibattito politico.

Sono altresì convinto che il dialogo costruttivo sul futuro rappresenta l’unica ricetta possibile per dare un impulso decisivo all’Italia. Lo spirito di coesione nazionale, pur nel confronto fra varie idee e posizioni legittimamente diverse, è stato fondamentale nell’ultimo biennio.

Prendo uno spazio un po’ più ampio per approfondire la questione dei pagamenti con carte di credito e bancomat. Mi rivolgo, allora, al governo e al premier Giorgia Meloni: per Natale, dotate di Pos anche i mendicanti, così potranno incassare più facilmente l’elemosina. E fin qui sono ironico, ma non troppo: perché senza denaro contante potremmo realmente trovarci, in un futuro nemmeno così lontano, ad affrontare l’allarme beneficenza. I poveri, insomma, potrebbero essere una categoria fortemente danneggiata dalla repentina trasformazione del nostro sistema dei pagamenti, che molti vorrebbero tutto digitale, abbandonando l’utilizzo delle banconote e delle monete. Quando penso alla piccola beneficenza, quella di tutti i giorni, penso ai piccoli acquisti che tutti noi facciamo, quelli di tutti i giorni: il caffè al bar, il giornale all’edicola, il panino o il trancio di pizza all’ora di pranzo. Operazioni che tutti siamo abituati a fare pagando in contanti, utilizzando banconote di piccolo taglio, come quelle da 5, 10 e 20 euro, che poi generano un resto da parte del commerciante. Ecco, proprio quel resto, magari pochi euro in monete, spesso ci resta in tasca e alla prima occasione lo regaliamo volentieri a chi vive in strada e ne ha bisogno per comprare cibo per sé o per la sua famiglia. Chi vuole una società fatta di pagamenti solo con carte di credito e bancomat, con le App dei telefonini e con i servizi di home banking, ha una soluzione per queste esigenze? E le istituzioni religiose, in particolare la Chiesa Cattolica, come gestiranno un’eventuale trasformazione di questo tipo? Le offerte domenicali nelle parrocchie durante le messe verranno raccolte con le carte di credito e con i bonifici bancari? Chissà, magari un giorno arriverà un sistema di questo tipo, vedremo. Senza dubbio oggi non siamo pronti.

E quando sento parlare di sostenibilità, termine che piace a molti, ma è usato spesso senza consapevolezza piena, credo che qualsiasi transizione o trasformazione debba essere sostenibile, per tutti e a tutti i livelli. Non dobbiamo dimenticare i fragili e i poveri: le famiglie che non ce la fanno sono più di 4 milioni, gli italiani a rischio povertà sono oltre 10 milioni. Molto va fatto per assicurare un lavoro – e quindi dignità

– a chi oggi fatica a trovare occupazione. Le imprese devono essere messe in condizione di assumere, in tutta Italia. Chi, invece, non è in grado di lavorare deve avere sussidi e sostegni da parte dello Stato: nessuno deve rimanere indietro, nessuno deve restare solo.

Auguro a voi e alle vostre famiglie di trascorrere le festività in pace e serenità.

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