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Il deficit dei medici di base mette a rischio il futuro della sanità Italiana.

di Marco Massarenti, Consigliere nazionale Unimpresa Sanità e Welfare

Siamo ben lontani dai tempi in cui il medico di famiglia con tanto di stetoscopio al collo e valigetta in mano andava di casa in casa a visitare i propri cari pazienti. Un ricordo antico dal gusto quasi gradevole, ormai bandito, ma che delizia le menti delle molte persone che si affidavano a quelle cure premurose.

Dispensatore di cure amorevoli, suggeritore di percorsi globali di cure, persona dedita all’ascolto e perché no, spesso amico con cui condividere due chiacchiere dopo la visita domiciliare. Non a caso “Medico di fiducia” è l’appellativo assegnato al camice bianco di famiglia e in molti aspiravano a svolgerne la professione considerata di grande prestigio.

Si sa, col tempo tutto cambia e si evolve ma a volte nel verso sbagliato ed è quello che succede oggi alla professione di medico di medicina generale. Questo mestiere non è più quello di una volta e pare che stia perdendo fascino con il passare del tempo. Eppure si tratta di una figura di cui non si può proprio fare a meno.

Come si farà nel prossimo futuro se nessuno vorrà intraprendere questo mestiere?

Con oltre 1.500 abitanti per medico di base, l’Italia è carente di assistenza primaria territoriale rispetto ai maggiori paesi europei.

Dato ancora più incisivo in Lombardia. All’ultimo concorso indetto dalla Regione per partecipare al corso formativo in medicina generale i posti messi a disposizione erano 868 ma a presentarsi sono stati in 520.

Alla luce dei fatti si evince una sproporzione evidente tra i medici che andranno in pensione e i nuovi ingressi; un rimpiazzo troppo magro che genererà non poche difficoltà.

Questo, a detta di molti del settore, si verifica anche perché tale professione negli anni è stata soggetta a metamorfosi per via dell’avvento dell’informatica che ha reso complicato l’iter burocratico che intercorre tra la visita e la cura del paziente; la parte clinica è ormai un residuo di quella burocratica divenuta principale, condizione che sminuisce l’opera e la ragion d’essere di tale professione.

Vi sono però anche altri motivi a spaventare i giovani laureati e a generare questa crisi di vocazione e a determinare un numero esiguo di iscrizioni ai concorsi. A fare leva anche la mancanza di sbocchi professionali futuri e soprattutto l’aspetto economico. Uno specializzando in chirurgia generale riceve una borsa mensile di circa 1.600-1.700 euro, un tirocinante in medicina generale tra gli 800 e i 900. Una disparità di trattamento economico, previdenziale e assicurativo. Disparità che nasce dal mancato rispetto della normativa dell’Unione europea che prevede condizioni identiche per tutti e che spinge a propendere verso la medicina delle acuzie, ovvero quella delle specializzazioni.

Sono quasi mille all’anno gli ambulatori che chiudono dal 2019 e per gli italiani la corsa ad aggiudicarsi un dottore di fiducia diventa sempre più aspra. Sono circa 40mila quelli attuali rispetto ai 46mila nel 2012. Medici costretti a superare quel massimale di pazienti consentito stabilito a un limite di 1.500 assistiti; tetto non rispettato soprattutto nel nord d’Italia dove alcuni medici assistono fino a 1.

Se il problema, tradottosi ormai in crisi, oltre ad essere l’equiparazione dei titoli, l’adeguamento della borsa di studio è anche la mole di lavoro, allora sarebbe opportuno affiancare per legge ai medici di medicina generale un segretario che si occupi della parte burocratica e un infermiere di famiglia.

Per il futuro bisogna tener conto dell’invecchiamento della popolazione. Si calcola che da qui ai prossimi dieci anni ben 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave e il che vuol dire rallentare ancora di più il lavoro dei medici di famiglia.

La soluzione potrebbe essere raggiunta, almeno in parte, attraverso l’attuazione di interventi multiprofessionali coinvolgendo figure di prossimità, come appunto l’infermiere di famiglia e di comunità. Professione sanitaria attualmente riconosciuta dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77 che fornisce ai cittadini l’assistenza utile per sostenere il peso di una malattia o di una disabilità all’interno dell’ambiente familiare.

Se oltre al medico di riferimento i cittadini potessero contare anche sull’infermiere di riferimento il tutto aumenterebbe notevolmente la capacità di ogni medico di prendere in carico più pazienti. In questo modo gli studi dei medici sarebbero meno affollati e il servizio oltre ad essere più efficiente garantirebbe più medicina di iniziativa volta all’attenzione verso il paziente stesso.

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