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Gladiatori dell’inerzia

Pubblichiamo un intervento di Alfonso D’Alessio, delegato Unimpresa per la Dottrina Sociale della Chiesa, pubblicato su Il Mattino del 31 gennaio 2014

Presi dai mille problemi che attanagliano la quotidianità e dalla sensazione d’impotenza di fronte ad una crisi che non demorde, distratti dalle notizie sul calcio che sembrano ancora oggi onorare il poeta Giovenale che, con la sua famosa locuzione “panem et circenses”, ritraeva la capacità della classe dirigente dell’antica Roma di conservare il consenso popolare nei momenti di difficoltà attraverso la concessione di un tozzo di pane e dei giochi gladiatori, rischiamo di non dare il giusto risalto ad una piaga che è sotto gli occhi di tutti: l’usura e le tragedie umane ad essa connesse. Ci ha pensato Papa Francesco a far mettere i piedi per terra. Lui che per dovere di stato aiuta ad alzare lo sguardo verso l’alto, pare essere rimasto l’unico a gridare al mondo che, se non si vede bene dove sono piantati i piedi, non si riesce nemmeno a scrutare oltre il palmo del naso. Ed è così che serioso in volto, raccolte le forze per dare la giusta sottolineatura a ciò che stava per dire, ha ricordato a tutti che “quando una famiglia non ha da mangiare, perché deve pagare il mutuo agli usurai, quello non è cristiano, non è umano”. C’era bisogno che lo dicesse il Santo Padre? La chiesa, la caritas italiana e con essa quella diocesana di Salerno-Campagna-Acerno perché a scanso di equivoci è bene sapere che i cravattari si trovano pure sul territorio salernitano, suonano il campanello d’allarme da tempo. Purtroppo il rumore lo si avverte solo quando alla tragedia segue il triste epilogo del suicidio. Le parole di Francesco sono dunque necessarie per squarciare il velo di ipocrisia e di opportunismo che copre lo strozzinaggio. Cosa serve per configurare l’usura? Un possidente che abbia a disposizione notevoli quantità di denaro e un bisognoso che, nella speranza di risollevare la posizione economica dalla quale dipende il benessere della famiglia ed eventualmente dei dipendenti, è costretto ad accettare un prestito con condizioni capestro. È, però, la circoscrizione a questi due attori che non fa cogliere tutto il peso sociale del grave problema. Se invece allargassimo l’osservazione all’assenza sempre più marcata della cultura solidale, aiutassimo le banche a capire che è discutibile far accedere al credito solo chi i soldi li ha già, se chiamassimo per nome l’indecente proposta di dimezzare il salario dei lavoratori attraverso il ricatto, forse percepiremmo che la responsabilità del peccato d’usura tocca molti. Denunciare l’usura e combatterne il sottobosco e le connivenze più o meno legali, rende umani e cristiani. L’atteggiamento contrario nega l’umanità.

Alfonso D’Alessio