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Crisi. Unimpresa, ​quattro su ​sette chiedono prestiti per pagare le tasse

Dicembre caldo per le scadenze fiscali e le aziende sono con l’acqua alla gola. Per onorare gli impegni c o n l’erario , gli imprenditori continuano a bussare allo sportello: cinque aziende su otto chiedono prestiti in banca per pagare le tasse. E’ uno degli ultimi risvolti della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, nel nostro Paese, un pesante inasprimento della pressione tributaria. Ragion per cui oltre il 62% delle micro, piccole e medie imprese italiane è stato costretto a ricorrere a un finanziamento per onorare le scadenze fiscali. E c’è l’Imu-Tasi in cima alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi agli istituti di credito. Quanto ai settori produttivi, sono gli operatori turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la grande distribuzione (per i supermercati) quelli maggiormente esposti con le banche a causa dei versamenti fiscali sugli immobili e, più in generale, per tutti gli adempimenti con l’Erario. Questi i dati più di un sondaggio del Centro studi di Unimpresa, condotto fra le 122.000 imprese associate sulla base dei dati raccolti al 30 novembre 2014.

Prestiti fiscali per 69mila imprenditori
Oltre 69. 600 pmi associate a Unimpresa (il 62,5% del totale), dunque, hanno chiesto soldi alle banche, nel primo semestre di quest’anno, per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni, i cui risultati sono in linea con quelle svolte nel 2012 e nel 2013, sono state effettuate dal 1 novembre al 30  novembre di quest’anno, attraverso le sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all’imposizione tributaria che colpisce gli immobili (Imu e Tasi in particolare), è l’Irap l’altra tassa che mette in difficoltà gli imprenditori italiani, tenuto conto che l’imposta regionale sulle attività produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdite dunque in assenza di utili. Tre, in particolare, i comparti dell’economia del Paese letteralmente “strozzati” dal tributo immobiliare. Secondo il sondaggio Unimpresa, gli ostacoli maggiori sono stati riscontrati per le categorie che basano più di altre la loro attività imprenditoriale proprio sugli immobili. E dunque si tratta degli operatori turistici (con i proprietari di alberghi in cima alla classifica), delle piccole industrie e delle fabbriche (per i capannoni) e del comparto della grande distribuzione organizzata (per i cosiddetti supermercati).

Dicembre, raffica di scadenze
Dicembre è un mesi pieno di appuntamenti col fisco, specie quelli relativo ai balzelli immobiliari. Un o è appena passat o: il 1 dicembre, infatti, sono scaduti i termini per il versamento dell’acconto della cedolare secca per il 2014 e per il pagamento della seconda o unica rata dell’acconto sull’Irpef dovuta per il 2014 dalle persone fisiche e dalle società di persone. Si continua il 16 dicembre, ultimo giorno, salvo diversi termini stabiliti da comune a comune nella delibera sulle aliquote , per il versamento del saldo Tasi, pagata anche dai cittadini i cui comuni non hanno deliberato le aliquote né a giugno né a settembre (e dovranno quindi versare l’imposta in un’unica soluzione all’aliquota dell’1 per mille). Sempre il 16 dicembre si pagherà la rata di saldo dell’I mu sugli immobili non adibiti ad abitazione principale e  sulle prime accatastate come A1, A8 e A9, ovvero come case di lusso. Anche in questo caso l’acconto non è lo stesso , ma dipende dall’aliquota che alcuni c omuni hanno modificato a ottobre. Infine c’è la T ari, la tassa sui rifiuti nata in sostituzione della vecchia Tasi.

Triplo effetto negativo sulle aziende
«Tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende» spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. «Il primo – dice Longobardi – è l’apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell’attività di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei “prestiti fiscali” va decurtato in proporzione al valore dell’ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo “guaio” è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l’impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse».

Gettito tributario a rischio
Secondo Longobardi «questa è la prova che un sistema tributario troppo pesante si accanisce sulle imprese fino a portarle allo sfinimento, se non al fallimento. Attivare linee di credito per pagare le tasse è assurdo: vuol dire la fine del sistema economico. Di fatto l’impresa si trova morsa in una tenaglia, con fisco e credito che tagliano le gambe e chiudono le porte del futuro». Non solo. «Alla fine – spiega il presidente di Unimpresa – il conto arriva anche per lo Stato: un’impresa che annaspa diventa un contribuente meno “generoso” e pure il gettito tributario ne risente e non poco sia sul fronte dell’imposizione diretta (a esempio l’Ires) sia su quello dell’imposizione indiretta (come l’Iva)».

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