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Coronavirus: Unimpresa, transazioni tra pmi e banche su 40% crediti in giudizio

La proposta dell’associazione: un calendario per smaltire, alla riapertura del Paese, le procedure giudiziarie. Il consigliere nazionale Giacomo Spada: «Grazie agli accordi, gli istituti potrebbero avere consistenti afflussi di liquidità»

Occorre stabilire immediatamente un calendario di smaltimento delle procedure giudiziarie prevedendo, alla riapertura del Paese nella fase due dell’emergenza Covid-19, una soluzione urgente delle procedure più vecchie, sia ordinarie sia esecutive, con provvedimenti giudiziari immediati senza rinvii di sorta. Subito dopo, occorre passare ai casi più recenti e, soprattutto, è necessario stabilire delle divisioni sulla base delle materie da trattare in modo diverso e con organismi ad hoc.

In particolare, va studiata la possibilità di proporre alle banche (i soggetti più numerosi dei giudizi o delle esecuzioni) una chiusura transattiva immediata della controversia al 40% del credito preteso dalle pmi e, in caso di mancata accettazione, serve un rinvio per la trattazione giudiziale della controversia in calce alla soluzione di tutte le controversie, quindi tra 5 o 6 anni, con eventuale riconoscimento, se giudizialmente provato, della sola sorte capitale senza interessi di alcun genere.

È quanto propone il consigliere nazionale di Unimpresa, Giacomo Spada, spiegando che «grazie ad accordi di questo tipo, gli istituti di crediti potrebbero beneficiare di consistenti afflussi di liquidità». Lo smaltimento degli arretrati giudiziari è uno dei «fattori che vanno esaminati e risolti, o in ogni caso regolamentati prima della auspicabile ripresa, perché coinvolge quasi tutti i settori economici di privati e di piccole e medie imprese» spiega Spada.

Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa «esiste un enorme carico di giudizi ordinari e procedure esecutive pendenti ormai da anni e ciò non è di aiuto a nessuna delle due parti in causa siano essi attori o convenuti, sia creditori sia debitori. Questi ultimi corrono il rischio, tra l’altro, di vedere venduti all’asta i propri beni a prezzi notevolmente minori, quasi infimi, senza che ciò estingua comunque il loro debito o di vedere comunque crescere il debito in maniera esponenziale a seguito di interessi anatocistici e commissioni varie illegali. Di questi enormi ritardi certo non possono farsi carico i giudici, già in numero ridotto e con una mole di procedimenti impressionante, bensì ai vari governi che si sono succeduti negli anni che non hanno aperto i concorsi, mentre riducevano i contributi alla sanità e agli ospedali».

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