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Coronavirus: Unimpresa, affari per le mafie con pmi a prezzi da saldo

Il presidente Ferrara: «Bisogna assicurare la massima liquidità per evitare che gli imprenditori svendano le loro attività alle organizzazioni criminali». A rischio 45 miliardi di euro di pil in tre mesi

Piccole e medie imprese a prezzi di saldo saranno un potenziale affare per la criminalità organizzata. L’emergenza causata dal Coronavirus corre il rischio di spalancare le porte a Camorra, Mafia e ‘Ndrangheta. Sempre pronti ad approfittare delle crisi economico-finanziarie, i vertici delle organizzazioni criminali, che dispongono di ingenti capitali, si preparano a speculare sulle inevitabili crisi a cui andranno incontro decine di migliaia di attività imprenditoriali su tutto il territorio nazionale. È quanto denuncia Unimpresa in un report in via di pubblicazione secondo il quale ristorazione, comparto alberghiero, commercio e piccole fabbriche sono i settori destinati a subire le ripercussioni più rilevanti dalla inevitabile crisi causata dalla pandemia legata al virus Covid-19. «Le imprese italiane vanno sostenute immediatamente, bisogna evitare soprattutto che manchino risorse per pagare stipendi, forniture e pure le tasse. Quello degli adempimenti fiscali, in particolare, è un tema fondamentale: il governo si è giustamente preoccupato di rinviare scadenze e accertamenti tributari, ma non basta. Cosa succederà dopo, quando si accumuleranno pagamenti uno dietro l’altro? La prospettiva è devastante. I fatturati risentiranno inevitabilmente degli effetti della pandemia. Bisogna assicurare, quindi, la massima liquidità per evitare che gli imprenditori finiscano in ginocchio, strozzati da debiti di varia natura e si arrendano, svendendo le loro attività alle organizzazioni criminali» osserva il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. 

Secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa, gli effetti del Coronavirus possono creare danni su 150 miliardi di euro di prodotto interno lordo ovvero quasi il 10% dell’economia italiana: si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e ristorazione, 53 miliardi del trasporto, oltre 8 miliardi del comparto noleggio e leasing, 2 miliardi riferibili alle agenzie di viaggio e ai tour operator, quasi 11 miliardi riconducibili a musei, cinema e teatri, oltre 7 miliardi del settore sport e tempo libero. In tre mesi possono subire ripercussioni enormi 45 miliardi e i settori più a rischio vanno dal turismo ai trasporti, dagli spettacoli allo sport. Le ricadute sono in alcuni casi dirette e in altri si tratta di ricadute “a cascata” non soltanto nelle regioni e nelle province della cosiddetta “zona rossa”, ma su tutti il territorio nazionale.

Secondo lo studio dell’associazione, che ha elaborato i dati Istat integrandoli con alcune stime, il Coronavirus può avere ricadute – dirette o indirette – su 146,1 miliardi (dati riferiti al 2019) che corrispondo al 9,12% del pil italiano. Nel dettaglio, si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e della ristorazione, di 53 miliardi delle imprese di trasporto, di 8,1 miliardi dell’area noleggio e leasing, di 2 miliardi “fatturati” da agenzie di viaggio e tour operator, di 10,8 miliardi dello spettacolo (musei, cinema e teatri), di 7,6 miliardi del comparto sport e tempo libero. In particolare, il settore dei trasporti comprende 47,2 miliardi di autobus e vetture, 3,9 miliardi di navi e traghetti, 2,1 miliardi delle compagnie aeree. Il recinto economico a rischio “Coronavirus” è un mix di settori di attività che, in totale, sono costantemente cresciuti negli ultimi anni: nel 2019, il totale si è attestato a 146,1 miliardi (9,12% del pil), nel 2015 era a quota 128,6 miliardi (8,65% del pil), nel 2016 a 135,2 miliardi (8,88% del pil), nel 2017 a 140,4 miliardi (9,01% del pil), nel 2018 a 143,5 miliardi (9,06% del pil). Dal 2015 al 2019, il “fatturato” delle imprese del turismo, dei trasporti e dello spettacolo è cresciuto di 17,5 miliardi.

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