di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa
Negli scorsi giorni, grazie all’iniziativa di un sindacato del settore bancario, si è tornati a parlare del fatto che l’Italia, ogni anno piange decine di vittime di femminicidio e innumerevoli casi di violenza domestica, taciuti o sommersi. Non è più possibile considerare il fenomeno come una questione privata o confinata alla cronaca nera. È, invece, una ferita profonda e aperta nel tessuto civile del nostro Paese. Una ferita che riguarda anche il mondo del lavoro, e quindi le imprese. La violenza di genere non si consuma soltanto dentro le mura domestiche: la sua eco si avverte anche nei luoghi di lavoro, nelle assenze ingiustificate che celano paura, nei silenzi che proteggono la vergogna, nei curriculum interrotti da storie mai raccontate. Le aziende non possono più voltarsi dall’altra parte.
Come donna al vertice di una associazione di categoria sempre più ascoltata, sento il dovere di condividere una riflessione: anche le piccole e medie imprese devono farsi carico di questo problema. Non per sostituirsi allo Stato o ai centri antiviolenza, ma per diventare alleate attive nella battaglia contro ogni forma di abuso e discriminazione.
Il primo passo è la consapevolezza. Occorre formare datori di lavoro e personale delle risorse umane per riconoscere i segnali, intervenire senza invadere, offrire ascolto e protezione. È fondamentale, inoltre, costruire all’interno delle aziende una cultura della tolleranza zero, in cui il rispetto della persona – a tutti i livelli – sia principio irrinunciabile. In secondo luogo, è urgente introdurre misure concrete a tutela delle lavoratrici vittime di violenza: flessibilità negli orari, congedi retribuiti per chi intraprende un percorso di uscita, protezione del posto di lavoro, accesso prioritario a sportelli di supporto psicologico. Queste iniziative non sono “costi”, ma investimenti in civiltà e coesione sociale. Una possibilità è rafforzare le agevolazioni fiscali e contributive per le imprese che adottano protocolli contro la violenza di genere. Le istituzioni territoriali potrebbero coinvolgere sistematicamente le associazioni imprenditoriali nei tavoli di lavoro contro la violenza.
La legge 119 del 2013 ha introdotto importanti strumenti giuridici, ma ora è tempo di renderli realmente operativi nel tessuto produttivo del Paese. Troppo spesso le piccole imprese non sanno come agire, a chi rivolgersi, come sostenere una dipendente in difficoltà. Servono linee guida semplici, sportelli di riferimento, formazione mirata. La violenza sulle donne è un fallimento collettivo, ma anche una responsabilità condivisa. La lotta non è solo delle vittime e delle associazioni. È di tutti. E chi fa impresa – chi ogni giorno guida una squadra di persone, crea valore, genera relazioni – ha un potere e un dovere: quello di rompere il silenzio.
Perché ogni lavoratrice che si sente protetta, ascoltata, rispettata nel suo contesto professionale, è una donna in meno esposta al rischio di isolamento e sopraffazione. E ogni impresa che si assume questa responsabilità è un pezzo di Paese che sceglie la parte giusta della storia. Sono sicura che le pmi sono pronte a fare la loro parte. Con iniziative, progetti, sostegno concreto. Perché la violenza non si combatte solo con le parole. Si combatte con il coraggio quotidiano di chi decide di non girarsi dall’altra parte.
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