di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa
C’è qualcosa di più potente di una vittoria sportiva: è la vittoria di un simbolo. E quello che Jasmine Paolini e Sara Errani hanno compiuto agli Internazionali BNL d’Italia va ben oltre il punteggio, oltre i titoli, oltre la Coppa. Jasmine, che si è imposta nel singolare con una solidità disarmante, e, in coppia con Sara, ha trionfato anche nel doppio: le due ragazze italiane hanno scritto una pagina di sport, certo, ma anche una pagina sociale. È un urlo silenzioso che rompe le barriere di genere, un gesto atletico che si trasforma in gesto civile. È un messaggio che Unimpresa, da sempre al fianco delle donne che lavorano e che lottano, sente di dover accogliere e rilanciare.
Lo sport, come l’impresa, è fatica, disciplina, visione, sacrificio. Ma nello sport femminile c’è qualcosa di più. C’è la tenacia di chi, ancora oggi, combatte contro i pregiudizi, contro la marginalizzazione mediatica, contro la disparità di risorse e di attenzione. C’è il sorriso fiero di chi, pur sapendo di partire in salita, continua a scalare. C’è l’orgoglio di chi non chiede sconti, ma solo di essere vista, riconosciuta, valutata per quello che fa, non per quello che rappresenta.
Il successo di Jasmine Paolini non è solo il trionfo di una ragazza determinata, figlia dell’Italia che cambia e che si apre, ma è anche la metafora perfetta di un Paese che può, se vuole, liberarsi delle proprie zavorre culturali. Così come il sodalizio con Sara Errani, che ha portato il doppio femminile italiano sul tetto del Foro Italico, ci racconta che il talento trova sempre la via per emergere quando incontra il lavoro di squadra, la solidarietà e l’umiltà.
Non possiamo che applaudire a queste campionesse con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo, ogni giorno, le imprenditrici italiane che fanno impresa nei territori, nelle difficoltà burocratiche, nel credito difficile da ottenere, in una cultura economica che troppo spesso ignora o sottovaluta il potenziale femminile. Perché i trionfi sportivi, così come quelli economici, non si improvvisano: sono il frutto di percorsi lunghi, solitari, eppure capaci di ispirare intere generazioni.
Lo sport femminile oggi è un laboratorio sociale. È il luogo in cui si misura, giorno dopo giorno, la maturità di un Paese. E l’Italia, grazie anche a queste ragazze, sta dimostrando di sapersi scrollare di dosso una certa pigrizia culturale. Ma molto resta da fare. Serve più attenzione, più investimento, più rispetto. Anche da parte delle istituzioni, anche da parte del sistema produttivo. Lo sport è parte integrante del tessuto economico e civile del Paese. E le donne nello sport sono ancora troppo spesso invisibili nei consigli di amministrazione, nei palinsesti, nelle cronache e nei bilanci.
Jasmine e Sara, oggi, sono più che tenniste: sono un’idea di Paese che ci piace. Un Paese che non fa differenze, che premia la competenza, che coltiva la passione. Un Paese che capisce, finalmente, che anche nello sport la parità di genere non è un favore da concedere, ma un valore da praticare. Perché, come scrive Virginia Woolf, “per gran parte della storia, ‘Anonimo’ era una donna”. Oggi, grazie a loro, quel nome anonimo ha finalmente un volto, una racchetta, una vittoria. Ed è ora che resti inciso, non solo nelle cronache sportive, ma nella coscienza collettiva.
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