di Paolo Longobardi, Presidente onorario Unimpresa
Il Primo Maggio è una data che pulsa di storia, di lotte, di conquiste. Ma è anche un giorno che, anno dopo anno, ci interroga sul significato del lavoro, sul suo valore, sulle sue fragilità. Oggi, mentre le bandiere sventolano e le piazze si animano, vorrei riflettere su questa giornata con lo sguardo di chi, ogni giorno, tiene in piedi l’Italia delle micro e piccole imprese: la voce di chi non fa rumore, ma produce, innova, resiste.
Il lavoro, per chi guida una piccola attività, non è solo un’occupazione. È un atto di fede. È svegliarsi all’alba per aprire un negozio, è passare notti insonni a quadrare i conti, è rischiare il proprio patrimonio per un’idea, per un sogno, per una comunità. Le micro e piccole imprese rappresentano il 95% del tessuto produttivo italiano, danno lavoro a milioni di persone, eppure troppo spesso sono invisibili. Non fanno notizia, non muovono i mercati globali, non siedono nei consigli di amministrazione delle grandi aziende. Ma sono loro, con il loro coraggio quotidiano, a tenere insieme il Paese.
Unimpresa, da anni, si batte per dare dignità a questo mondo. Non chiediamo privilegi, ma equità. Non siamo scorciatoie, ma regole chiare. Tra crisi economiche, transizioni ecologiche e digitali, burocrazia asfissiante e pressione fiscale tra le più alte d’Europa, le piccole imprese sono come marinai in tempesta: remano, con forza e ostinazione, anche quando il vento è contro.
Questo Primo Maggio, allora, dovrebbe essere l’occasione per un esame di coscienza collettivo. Il lavoro non è solo un diritto, come recita la nostra Costituzione, ma un dovere verso noi stessi e verso chi verrà dopo di noi. E il lavoro delle piccole imprese non può essere soffocato da un sistema che, troppo spesso, sembra premiare i grandi e dimenticare i piccoli. Unimpresa lo ripete con chiarezza: serve una fiscalità più giusta, che non punisca chi crea valore ma lo sostenga; servire una burocrazia snella, che non trasforma ogni adempimento in un’odissea; servire accesso al credito, perché le banche, oggi, sembrano più inclini a finanziare chi già possiede che a scommettere su chi innova.
E poi c’è il tema dei giovani. Quante volte abbiamo sentito dire che non vogliamo lavorare? È una narrazione comoda, ma ingiusta. I giovani non scappano dal lavoro, scappano da un lavoro che non li valorizza, che non offre prospettive, che li intrappola in contratti precari o in stipendi che non permettono di costruire un futuro. Le micro e piccole imprese, per loro natura, sono luoghi di formazione, di relazioni umane, di crescita. Ma anche loro, per attrarre talenti, hanno bisogno di un ecosistema che non le lasci sole.
Questo Primo Maggio, celebriamo il lavoro con la consapevolezza che non esistono scorciatoie. La transizione ecologica, la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale sono sfide che possono diventare opportunità, ma solo se sapremo investire nelle persone, nelle competenze, nelle idee. Le nostre sue associate non chiedono assistenzialismo, ma la possibilità di competere ad armi pari.
Il lavoro è dignità, è identità, è futuro. È la bottega che apre i battenti ogni mattina, è l’artigiano che insegna il mestiere al suo apprendista, è l’imprenditore che, nonostante tutto, continua a crederci. Questo Primo Maggio, dedichiamolo a loro. E ricordiamoci che un Paese che non valorizza le sue piccole imprese è un Paese che corre il rischio di perdere la propria anima.
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