di Giovanna Ferrara, Presidente Unimpresa
La vicenda di Gene Hackman e di sua moglie, Betsy Arakawa, è di quelle che colpiscono allo stomaco. Un mito del cinema, un uomo che ha incarnato forza e carisma sullo schermo, ridotto a una solitudine estrema, consumata tra le mura di una villa a Santa Fe. La moglie Betsy Arakawa morta per un virus trasmesso dai topi, lui stroncato da problemi cardiaci una settimana dopo, con l’Alzheimer a offuscare ogni percezione della tragedia. I corpi trovati mummificati, nessun segno di violenza, solo il peso di un abbandono che i numeri non spiegano, ma che le storie, come questa, rendono tangibile.
Non è solo il crepuscolo di un’icona a scuoterci. È il ritratto di una fragilità che attraversa età, ceti, confini. In Italia, dove l’aspettativa di vita cresce ma il welfare arranca, casi come questo non sono lontani dalla nostra realtà. L’Istat ci dice che oltre 600 mila persone convivono con l’Alzheimer o altre demenze, e troppe di loro, come Hackman, finiscono sole, affidate a un sistema di cura che non regge. La moglie di Hackman si è presa cura di lui fino all’ultimo, ma quando lei è venuta meno, il vuoto ha inghiottito entrambi. È una lezione amara: la dipendenza, negli anni della vecchiaia, non risparmia nessuno, neanche chi ha vissuto sotto i riflettori.
E poi c’è la solitudine, quel male sottile che si insinua nelle crepe di una società sempre più frammentata. Non è solo una questione di anziani: è un’epidemia che tocca i giovani precari, i lavoratori lontani da casa, le famiglie mononucleari. Il Censis parla di un’Italia dove il 13% degli over 65 vive in isolamento sociale, ma il dato non rende l’idea del silenzio che accompagna queste vite. Hackman, con la sua fama e le sue risorse, ci dimostra che la solitudine non guarda in faccia al conto in banca. È un problema culturale, prima che logistico: abbiamo smesso di tessere reti, di fare comunità, lasciando che il peso ricada su chi resta, fino a quando non resta più nessuno.
Bisogna guardare a questa storia con un occhio pragmatico. Le imprese italiane, spesso familiari, sanno quanto il lavoro di cura pesi sulle spalle di chi produce. Eppure, continuiamo a sottovalutare il costo sociale ed economico di un’assistenza inadeguata. Servono investimenti, non promesse: strutture per gli anziani, supporto ai caregiver, un patto tra pubblico e privato che non lasci nessuno indietro. Perché la solitudine di Gene Hackman non è solo un epilogo triste, ma un monito. Un Paese che non sa prendersi cura dei suoi fragili è un Paese che perde pezzi di sé. E il tempo, come sempre, non fa sconti.
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