di Marco Salustri, Consigliere Nazionale di Unimpresa
Il concetto di Made in Italy, e più specificatamente di marchio, ha radici storiche antiche che si intrecciano con l’evoluzione dell’artigianato e dell’industria italiana. Fin dai tempi pre industriali la produzione locale era caratterizzata da una maestria artigianale unica: ogni prodotto portava con sé la sapienza e le abilità tramandate di generazione in generazione.
Tuttavia, è nel dopoguerra che si afferma in maniera più consapevole l’idea di Made in Italy, e di marchio, come simbolo di qualità, creatività e innovazione soprattutto nei settori della moda, del design e, naturalmente, dell’agroalimentare. In particolare, negli anni ‘50 e ’60, durante il cosiddetto boom economico, i marchi italiani hanno iniziato a suscitare un profondo interesse da parte di investitori esteri che, lentamente e costantemente ha portato, fino ai giorni nostri, ad un vero e proprio “svuotamento” del know how intrinseco nei marchi realizzati.
La domanda che Unimpresa si pone da lungo tempo è la seguente: sono state mai elaborate, e soprattutto concretizzate, leggi che agevolassero e incoraggiassero gli imprenditori italiani a fare investimenti per riportare in mani italiane i propri brand venduti? La risposta è no.
Negli ultimi anni il Governo italiano ha messo in atto diverse iniziative legislative per salvaguardare il patrimonio del Made in Italy e garantire che i marchi storici, e di particolare rilevanza nazionale, restino nelle mani del tessuto imprenditoriale italiano. Un chiaro esempio è rappresentato dalla legge n. 206/2023 che introduce misure specifiche per la tutela dei marchi registrati da almeno 50 anni o quelli usati continuativamente per lo stesso periodo.
Ma tutto questo è insufficiente e, proprio per tale motivo, Unimpresa invoca, con sempre maggiore vigore, una legge che preveda un’agevolazione all’accesso al credito bancario, con eventuale garanzia dello Stato, volto all’investimento necessario per il rimpatrio dei marchi venduti all’estero, agevolazioni mirate a ridurre il cuneo fiscale, per l’assunzione di personale coinvolto nella produzione di beni e servizi, che il marchio rappresenta, per almeno cinque anni, e una riduzione della pressione fiscale che sia direttamente proporzionale alla percentuale societaria riacquisita.
Lo Stato beneficerebbe, grazie a questa “impresa” fiscale, di maggiori entrate derivanti dalla distribuzione di utili, sul territorio dello stato, oltre a maggiori basi imponibili ai fini delle imposte sui redditi.
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