Il PIL degli Stati Uniti si è contratto nel primo trimestre dello 0,3% t/t annualizzato, in linea con le attese, per effetto di un forte aumento delle importazioni (+41,3%) che ha pesato sul saldo estero. Tuttavia, la domanda interna resta robusta: i consumi privati crescono dell’1,8% e gli investimenti rimbalzano (+21,9%), con le vendite finali a domanda domestica salite al 3%. Segnali di solidità che però potrebbero indebolirsi nei prossimi mesi, sotto l’effetto dello shock-dazi. È quanto sostiene il Centro studi di Unimpresa, secondo cui sul fronte commerciale, il Segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, ha parlato di contatti multilivello con la Cina, pur chiarendo che non sono in corso veri negoziati. Alcune aziende USA hanno ottenuto esenzioni su spedizioni strategiche, mentre Pechino valuta aperture su chimica, farmaceutica e aviazione. Intanto, Washington ha eliminato alcune sovrapposizioni tariffarie e introdotto uno sconto temporaneo sui dazi del 3,75%, in graduale riduzione fino all’eliminazione nel 2027.
La fiducia dei consumatori è però in netto calo: l’indice del Conference Board scende a 86, con aspettative ai minimi da ottobre 2011. Il deficit commerciale tocca un nuovo record a marzo, -161 miliardi di dollari. In questo contesto, il prossimo FOMC dovrebbe confermare i tassi invariati, con un messaggio attendista in attesa di sviluppi su inflazione e politica commerciale.
«I segnali di apertura sul fronte commerciale tra Stati Uniti e Cina sono certamente positivi, ma servono decisioni concrete e rapide: il tempo della diplomazia attendista sta per scadere. La contrazione del PIL americano, seppur mitigata dalla tenuta della domanda interna, conferma che l’instabilità delle regole del commercio internazionale ha effetti tangibili sull’economia reale. La guerra dei dazi colpisce prima di tutto le imprese, che si trovano a operare in un contesto incerto, con catene di approvvigionamento compromesse e costi imprevedibili. In particolare, preoccupa il rischio che le tensioni si traducano in una spirale stagflazionistica globale, con effetti negativi anche per l’economia europea e per il nostro export. Il raffreddamento dell’inflazione, registrato negli Stati Uniti, non deve indurre ad abbassare la guardia: servono politiche coordinate a livello internazionale che favoriscano stabilità, crescita e investimenti. Auspichiamo che la Federal Reserve mantenga un approccio prudente e che, al tempo stesso, si arrivi a una revisione strutturale dei dazi, con un vero accordo multilaterale. La politica commerciale non può essere usata come arma geopolitica a danno delle imprese produttive: l’economia ha bisogno di certezze, non di minacce» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, nel primo trimestre del 2025 il PIL reale degli Stati Uniti ha registrato una contrazione dello 0,3% annualizzato, in linea con le attese, interrompendo una serie positiva durata tre anni. Il rallentamento è attribuibile quasi interamente al forte incremento delle importazioni (+41,3%), che ha generato un contributo negativo della domanda estera pari a -4,8 punti percentuali. Al contrario, le componenti domestiche hanno mostrato una tenuta significativa: i consumi privati hanno rallentato in misura contenuta (1,8% da 4% precedente), mentre gli investimenti fissi lordi hanno evidenziato un marcato rimbalzo (+21,9% da -5,6%), sostenendo le vendite finali a domanda interna, salite al 3% da 2,9%.
La dinamica complessiva suggerisce una domanda sottostante ancora solida, ma le prospettive appaiono più incerte, con gli indicatori anticipatori che segnalano un possibile indebolimento nei trimestri successivi. I deflatori PCE, entrambi invariati nel mese di marzo, confermano una dinamica inflattiva in rallentamento: il dato headline si attesta al 2,3% a/a (da 2,7%) e il core al 2,6% annui (da 3%). Redditi e spese personali crescono rispettivamente dello 0,5% e dello 0,7% mensile, evidenziando una resilienza dei comportamenti di consumo. Parallelamente, l’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board registra un calo significativo ad aprile (86 da 92,9), con la componente delle aspettative scesa a 54,4, livello più basso da ottobre 2011, ben al di sotto della soglia critica di 80, storicamente associata a rischi recessivi.
Sul fronte commerciale, proseguono segnali di distensione, seppur ancora non tradotti in azioni strutturali. Il Segretario al Tesoro Bessent ha ribadito che eventuali riduzioni dei dazi dovranno partire da Pechino, pur confermando contatti multilivello. Alcune imprese statunitensi hanno ottenuto esenzioni sui dazi per settori chiave (semiconduttori, dispositivi medici, aerospazio), mentre la Cina valuta ulteriori aperture. Il 29 aprile l’amministrazione USA ha eliminato la sovrapposizione tra dazi su auto e quelli su acciaio/alluminio, introducendo uno sconto temporaneo del 3,75% sul valore di vendita, destinato a ridursi al 2,5% nel 2026 ed essere eliminato dal 2027.
Tuttavia, secondo Bloomberg, il traffico marittimo dalla Cina verso gli Stati Uniti ha subito un crollo del 40% dai picchi di inizio anno, mentre il deficit commerciale ha toccato un nuovo massimo storico a marzo, salendo a -161 miliardi di dollari da -148 miliardi. In tale contesto, il FOMC atteso per la prossima settimana dovrebbe concludersi senza modifiche ai tassi, con un orientamento prudente e data-dependent. La Federal Reserve appare intenzionata a prendersi ulteriore tempo per valutare gli effetti delle tensioni commerciali su crescita e inflazione, che potrebbero portare a un trade-off tra i due mandati della banca centrale.
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