di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa
L’Italia sta affrontando una delle più profonde crisi demografiche della sua storia. Nel 2024 sono nati poco più di 379.000 bambini, il dato più basso dall’Unità d’Italia. Ma più che una statistica, è un allarme strutturale che coinvolge il futuro stesso del Paese: economia, welfare, sistema sanitario, scuola, pensioni. Una società che non genera nuove generazioni è una società che invecchia, si chiude, si impoverisce. Eppure, ancora oggi, si fatica a riconoscere che il crollo della natalità non è solo il frutto di una scelta culturale o personale. È, innanzitutto, una questione di condizioni materiali. I giovani non mettono su famiglia non perché non lo desiderino, ma perché non possono permetterselo.
Lavori precari, salari bassi, case inaccessibili, servizi per l’infanzia scarsi e costosi, tempi di vita inconciliabili con quelli di cura. In questo contesto, la scelta di avere figli diventa un lusso per pochi. E i dati lo dimostrano: in Italia, la maternità è inversamente proporzionale alla fragilità economica. Per troppo tempo le politiche pubbliche hanno affrontato il tema della natalità con strumenti frammentati, discontinui, spesso simbolici: bonus una tantum, detrazioni fiscali parziali, incentivi mal calibrati. Quello che manca è una vera politica familiare strutturale, pluriennale, integrata.
Occorre una visione di lungo periodo che metta al centro la famiglia non come categoria astratta, ma come soggetto concreto, fatto di bisogni reali. Servono asili nido pubblici e gratuiti, con orari compatibili con il lavoro. Servono congedi parentali equamente retribuiti e distribuiti tra madri e padri. Serve un mercato immobiliare che non costringa i giovani a scegliere tra l’autonomia e la sopravvivenza. Anche le imprese possono giocare un ruolo fondamentale. Offrire flessibilità, welfare aziendale, servizi di conciliazione non è solo una forma di responsabilità sociale: è un investimento sulla qualità del lavoro, sulla produttività e sul futuro stesso della forza lavoro.
Il problema demografico non è neutro. Colpisce più duramente le donne, che ancora oggi sono costrette a scegliere tra maternità e carriera. E colpisce più duramente le aree periferiche, dove mancano servizi, opportunità, infrastrutture. Una politica per la natalità, quindi, non può che essere anche una politica per l’uguaglianza, per la coesione territoriale, per la dignità del lavoro.
Per invertire la rotta non bastano campagne promozionali o inviti alla genitorialità. Servono scelte coraggiose, risorse adeguate, una narrazione diversa. I figli non sono un costo per lo Stato: sono l’unica vera risorsa per il futuro. Restituire fiducia alle giovani generazioni, creare condizioni concrete per formare una famiglia, investire sulla natalità come priorità nazionale: è questa la vera sfida. Una sfida che non riguarda solo chi ha figli, ma tutti. Perché da essa dipende la tenuta economica, sociale e culturale dell’Italia di domani.
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