
di Paolo Longobardi, Presidente di Unimpresa
Monte dei Paschi di Siena torna al centro della scena. Dopo anni di crisi, scandali, salvataggi pubblici e commissariamenti, la più antica banca del mondo è di nuovo protagonista di una fase cruciale per il sistema finanziario italiano. Una storia che sembrava destinata all’oblio si trasforma oggi nel fulcro di un nuovo equilibrio tra banche, politica e territori.
Non si può dimenticare che Mps è stata salvata nel 2017 con un intervento diretto dello Stato: quasi 20 miliardi di euro di denaro pubblico per evitarne il fallimento. Una scelta diversa da quella compiuta solo due anni prima, quando le quattro ex popolari – Etruria, Marche, Chieti e Ferrara – furono travolte dal meccanismo del bail-in, con azionisti e risparmiatori costretti a sopportare perdite ingenti. Da allora, Siena è diventata un simbolo: della fragilità del sistema bancario, ma anche della capacità del Paese di difendere un pezzo della propria storia economica.
Oggi Montepaschi è di nuovo un perno. Non solo di un’operazione industriale, ma di un processo politico più ampio che ridefinisce i centri di potere italiani. Mediobanca e Mps, Milano e Siena, due anime diverse del capitalismo nazionale, tornano a incrociarsi dopo decenni. È un incontro che riporta la memoria alle origini stesse di Mediobanca, nata nel 1946 come “realtà speciale”, cioè una banca d’affari all’interno della Comit di Raffaele Mattioli, per sostenere la ricostruzione industriale dell’Italia. Ora, con l’ingresso nel perimetro di Montepaschi, Mediobanca sembra riscoprire quella missione originaria: essere il ponte tra credito tradizionale e finanza d’impresa, tra il risparmio e la crescita.
In questa vicenda, la simbologia conta quanto la strategia. Mps significa Roma e Siena, cuore politico e radici territoriali del Paese; Mediobanca significa Milano, capitale della finanza e dell’industria. Due identità, due storie, due culture economiche che tornano a dialogare. E in questo dialogo si gioca una parte della futura fisionomia del capitalismo italiano.
C’è poi un messaggio politico che va oltre le banche: l’Italia non è più un terreno di conquista per i grandi gruppi stranieri. Dopo anni in cui decisioni cruciali venivano prese a Parigi o a Francoforte, il Paese sembra voler tornare a esercitare la propria sovranità economica. È un segnale che rafforza il fronte nazionale, ma che richiede coerenza, visione e continuità. Non basta la celebrazione di un successo momentaneo.
Servono politiche industriali coordinate, regole chiare per il mercato e una strategia di lungo periodo per la finanza italiana. Solo così questa operazione potrà diventare non un episodio isolato, ma l’inizio di una nuova stagione del capitalismo nazionale, più equilibrato, più consapevole e più europeo.
In definitiva, un sistema bancario solido ed efficace non è soltanto una garanzia di stabilità finanziaria, ma un motore essenziale di sviluppo economico. Le banche non devono limitarsi a custodire risparmio: devono saperlo trasformare in credito produttivo, in investimenti, in crescita reale. È questa la condizione necessaria perché le piccole e medie imprese, che rappresentano l’ossatura dell’economia italiana, possano innovare, assumere, esportare e competere. La rinascita di Mps e il ritorno alle origini di Mediobanca avranno senso solo se contribuiranno a costruire un sistema del credito capace di accompagnare l’Italia nella sfida più difficile: quella di tornare a crescere, in modo inclusivo e duraturo.
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