di Giovanna Ferrara, Presidente Unimpresa
Nel dibattito pubblico italiano, il tema del debito ritorna con ciclica ossessione, spesso alimentato da letture superficiali e da una cronaca frettolosa che privilegia i numeri in valore assoluto, tralasciando la dimensione relativa. Eppure, proprio questa seconda prospettiva – più tecnica, più fredda ma anche più aderente alla realtà macroeconomica – aiuta a comprendere con maggiore lucidità quanto sta accadendo oggi nei conti pubblici italiani.
Negli ultimi dodici mesi, il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 152 miliardi di euro. Un incremento certamente rilevante, ma ben lontano dal record toccato nel 2021, in piena emergenza pandemica, quando la crescita fu di 211,5 miliardi. Eppure, proprio la soglia dei 120 miliardi – identificata come “trigger level” in più passaggi della nostra storia finanziaria (1994, 2009, 2021, e oggi) – continua a rappresentare un discrimine simbolico e sostanziale. Superarla, come accaduto nuovamente, segnala che il sistema Paese è entrato in una fase di forte tensione fiscale o straordinario intervento pubblico.
Tuttavia, un’analisi storica e proporzionale restituisce un quadro meno drammatico. Quando si osserva l’aumento annuale del debito in percentuale rispetto allo stock complessivo – e non in valore assoluto – il livello critico del 20% è stato superato solo in quattro occasioni del tutto straordinarie: durante le due Guerre Mondiali, nel 1966 a seguito dell’alluvione di Firenze, e tra gli anni Settanta e Ottanta, con il consolidamento del welfare state italiano. Negli anni dell’euro, viceversa, l’Italia ha sempre mantenuto variazioni contenute: nella maggior parte dei casi sotto il 5%, raramente sopra il 10% (come durante la crisi dei mutui subprime o durante il Covid).
Il dato che più sorprende, e che meriterebbe ben maggiore attenzione mediatica e politica, è quello registrato a febbraio 2024: +42,647 miliardi di euro in un solo mese. Si tratta del maggiore incremento mensile della storia repubblicana, un vero picco storico avvenuto senza alcuna significativa reazione né nel dibattito parlamentare né nelle sedi istituzionali. A titolo di confronto, la maggiore riduzione mai registrata risale al 2022, con un calo di 46,47 miliardi. Eppure, anche in questo caso, rapportando l’incremento al valore complessivo del debito – che ormai supera i 2.900 miliardi – l’aumento di febbraio si colloca sotto l’1%, un segnale che induce a maggiore prudenza interpretativa.
Storicamente, i veri shock di bilancio si sono registrati in momenti di guerra o riconversione economica: nel 1917, l’Italia vide il debito crescere del 31% in un solo anno, mentre nel 1932, in piena crisi deflattiva post-1929, si toccò un record negativo di -39,5%. A confronto, i numeri attuali, pur importanti, restano fisiologici per una grande economia avanzata che convive con alti livelli di debito da decenni.
Tuttavia, proprio perché il debito italiano è già strutturalmente elevato, ogni variazione va letta con attenzione. Il tema, dunque, non è tanto “quanto” il debito aumenti, ma “perché” e “come”. Se l’incremento è finalizzato a sostenere la crescita, gli investimenti pubblici e l’occupazione – come nel caso delle spese connesse al PNRR o alla transizione energetica – allora può essere un moltiplicatore virtuoso. Se invece l’aggiustamento riflette squilibri strutturali o spese correnti non produttive, allora il rischio è che il debito si trasformi in zavorra per la competitività del Paese e per la tenuta sociale.
Sul piano politico, la mancanza di un dibattito trasparente su questi numeri è preoccupante. Il Parlamento ha il dovere di riappropriarsi della piena centralità nella discussione sulla finanza pubblica. Il governo, da parte sua, deve esercitare un ruolo di guida, indicando con chiarezza la direzione strategica: quali sono le priorità di spesa, quali strumenti fiscali saranno utilizzati per evitare che il debito degeneri, e in quale arco temporale si intende rientrare nei parametri europei.
Serve una politica economica che non insegua le emergenze, ma anticipi i cicli e investa sul futuro. Il tempo degli interventi straordinari non può diventare la norma. È necessario recuperare un approccio responsabile e trasparente, capace di restituire fiducia ai mercati e ai cittadini. La sostenibilità del debito non si misura solo nei numeri, ma nella capacità di un Paese di generare crescita stabile, lavoro di qualità e coesione sociale. In questo senso, la vera sfida non è contabilizzare il debito, ma governarlo.
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