di Giovanna Ferrara, Presidente Unimpresa
Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale il 26 maggio, la legge 76 del 15 maggio 2025 è ufficialmente entrata in vigore. Un provvedimento che, se pienamente attuato, potrebbe ridefinire gli equilibri all’interno delle imprese italiane, rafforzando il ruolo dei lavoratori non solo come dipendenti, ma anche come attori della vita aziendale. La legge recepisce l’articolo 46 della Costituzione – da sempre rimasto inapplicato – che riconosce ai lavoratori il diritto di collaborare alla gestione delle aziende. Obiettivo dichiarato: rafforzare la collaborazione tra impresa e lavoratori, promuovere la sostenibilità aziendale e valorizzare il lavoro anche sul piano sociale.
Quattro sono le forme di partecipazione previste, tutte attivabili su base volontaria e attraverso la contrattazione collettiva: gestionale, economica e finanziaria, organizzativa, consultiva. Nel dettaglio, sul fronte gestionale, le imprese potranno includere rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza (per le società con sistema duale) o nel consiglio di amministrazione (per quelle con modello ordinario). Gli “amministratori dei lavoratori” dovranno avere requisiti di indipendenza e professionalità, e non potranno ricoprire incarichi dirigenziali nei tre anni successivi alla fine del mandato. Sul piano economico e finanziario, il legislatore introduce due novità rilevanti. Primo: per il 2025, se almeno il 10% degli utili viene redistribuito ai lavoratori tramite contratti collettivi, il limite per beneficiare dell’imposta sostitutiva scende al 5% e sale a 5.000 euro. Secondo: i dividendi da azioni assegnate in sostituzione di premi di risultato saranno esenti dall’Irpef al 50% fino a 1.500 euro annui. C’è poi la partecipazione organizzativa, che apre alla creazione di commissioni paritetiche per ideare miglioramenti nei prodotti e nei processi produttivi. Le aziende potranno inoltre introdurre figure specifiche per la gestione di welfare, formazione, inclusione e qualità del lavoro. Infine, la partecipazione consultiva: i sindacati e gli enti bilaterali potranno esprimere pareri preventivi su scelte aziendali, attraverso una procedura formale di consultazione da svolgersi entro dieci giorni dalla convocazione. In caso di controversie, il parere potrà essere chiesto a una Commissione nazionale permanente.
La norma è costruita su base volontaria, demandando molto alla contrattazione collettiva. Un impianto che favorisce la flessibilità e il rispetto delle specificità settoriali, ma che rischia anche di produrre applicazioni disomogenee e di limitare l’impatto nei comparti dove la rappresentanza sindacale è debole. Tuttavia, per i settori più strutturati – a cominciare da bancario, assicurativo, industria manifatturiera – la legge può rappresentare un’occasione concreta per valorizzare il capitale umano, incentivare il dialogo sociale e migliorare la governance. Il messaggio è chiaro: partecipazione non come concessione, ma come strumento per coniugare efficienza aziendale e dignità del lavoro. Ora la sfida passa alle parti sociali.