di Paolo Longobardi, Presidente Onorario di Unimpresa
Guardare ai dati con una visione più ampia e ragionata consente di sfatare il falso mito della bassa produttività italiana. L’industria manifatturiera non è solo una somma di numeri, ma un sistema vivo e dinamico, capace di adattarsi alle sfide globali e di trarre forza dalla propria struttura complessa. È questa combinazione, tra tradizione e modernità, che rende l’Italia una potenza industriale capace di guardare al futuro con fiducia e ambizione. Nei giorni scorsi, Marco Fortis, uno dei più raffinati economisti italiani, si è chiesto, sul Sole24ore, se l’Italia ha un problema di produttività. La risposta, secondo lo stesso Fortis, va data con cautela e assume una connotazione esatta solo se si guarda oltre i numeri aggregati.
L’industria manifatturiera italiana, in effetti, se ci si ferma al valore aggiunto per occupato del 2022, pari a 79.660 euro, sembra arrancare rispetto ai principali concorrenti europei: Germania a quota 96.170 euro, Francia a 85.810 euro, con la sola Spagna più indietro, a 68.660 euro. Una lettura che però non tiene conto delle specificità del nostro sistema produttivo, rischiando così di offuscare il quadro reale di un settore che è tra i più competitivi al mondo. Il motivo principale di questa apparente debolezza è l’incidenza delle microimprese manifatturiere, una realtà strutturale del sistema italiano con oltre 328.000 unità e quasi 1,3 milioni di occupati. Queste aziende, che generano complessivamente 56 miliardi di euro di valore aggiunto, contribuiscono solo marginalmente all’export, dominato invece dalle imprese più grandi e competitive. Tuttavia, definirle un punto debole sarebbe un errore. Le microimprese rappresentano un elemento di stabilità sociale unico e svolgono un ruolo cruciale nelle filiere corte che caratterizzano i nostri distretti industriali. Durante la crisi globale causata dal Covid, proprio questa rete flessibile ha permesso all’Italia di mantenere la produzione operativa, mentre le catene di approvvigionamento globali crollavano.
Ma cosa accadrebbe se eliminassimo statisticamente le microimprese dal quadro? La situazione si ribalterebbe. Le imprese con venti o più occupati mostrano una produttività media di 97.419 euro per occupato, contro i 102.235 euro della Germania. Una differenza minima che si annulla del tutto se si esclude il settore automobilistico, in cui la Germania è tradizionalmente più forte. Nel resto dell’industria manifatturiera, infatti, l’Italia supera i tedeschi, con una produttività media di 97.487 euro contro 96.758 euro. Il vero primato italiano, però, si manifesta nella forza delle medie e grandi imprese. Le aziende italiane con 250 o più dipendenti registrano un valore aggiunto per occupato di 118.970 euro, superando la Germania, ferma a 116.250 euro. Ancora più netto il confronto tra le medie imprese: 89.530 euro per occupato in Italia contro 72.740 in Germania. Un risultato che smentisce l’idea di un’Italia debole sul fronte industriale e dimostra che, laddove la scala aziendale permette di competere sui mercati globali, il nostro sistema sa eccellere.
Questi numeri raccontano di un sistema manifatturiero che riesce a coniugare tradizione e innovazione, piccole realtà radicate nel territorio e grandi aziende capaci di confrontarsi con i giganti globali. Se il 2022 ha visto l’Italia competere con Giappone e Corea del Sud per il quarto posto nell’export mondiale, è perché questa combinazione funziona. Le microimprese, pur abbassando le medie, sono una risorsa preziosa che contribuisce alla resilienza del sistema, mentre le imprese più grandi portano avanti la sfida sui mercati internazionali. La forza della manifattura italiana sta proprio nella sua capacità di sfruttare al massimo questa diversità. Non si tratta di scegliere tra grandi e piccoli, ma di valorizzarli entrambi. Le grandi aziende garantiscono competitività e innovazione, le microimprese assicurano flessibilità e stabilità sociale. È questo equilibrio unico che permette all’Italia di mantenere il primato europeo in settori strategici e di superare Paesi come la Germania in numerosi indicatori.
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