di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa
C’è un tema che riguarda tutti – famiglie, giovani, lavoratori, studenti – e che pure sembra scomparso dal dibattito politico nazionale: la casa. Non come bene patrimoniale o opportunità di investimento, ma come diritto fondamentale, come condizione essenziale per vivere con dignità, costruire un progetto di vita, radicarsi in un territorio. Eppure, in Italia oggi abitare è sempre più difficile, costoso, precario. I numeri parlano chiaro: nelle grandi città gli affitti sono fuori controllo, trainati dal turismo di massa, dalle locazioni brevi, dalla scarsità di alloggi pubblici. Milano, Roma, Firenze, Bologna hanno visto crescere i canoni mensili anche del 20-30% negli ultimi due anni. Ma il problema si estende ben oltre le metropoli: nei centri medi e persino nei piccoli comuni, trovare un’abitazione accessibile è diventato un rebus, soprattutto per chi ha contratti di lavoro instabili o redditi bassi.
A farne le spese sono innanzitutto i giovani, che restano a lungo nella casa dei genitori o sono costretti a emigrare verso paesi dove il mercato abitativo è più equo. Ma anche le famiglie monoreddito, le madri sole, i lavoratori pendolari, gli anziani con pensioni minime, gli studenti fuori sede. Il risultato è una nuova esclusione sociale silenziosa, fatta non di senzatetto visibili, ma di persone che vivono in case inadeguate, sovraffollate o insicure, o che rinunciano a opportunità di lavoro o studio per mancanza di un tetto stabile. Il tema della casa dovrebbe tornare con forza al centro dell’agenda pubblica. Serve una strategia nazionale sul diritto all’abitare, che coinvolga Stato, Regioni, Comuni e anche i corpi intermedi come le associazioni imprenditoriali e le realtà del terzo settore. Le piccole imprese, in particolare, sono spesso radicate in territori dove la carenza di alloggi frena la possibilità di attrarre forza lavoro qualificata.
La questione abitativa è anche una questione economica: senza un mercato degli affitti equilibrato, senza un’edilizia pubblica moderna, senza incentivi per il recupero dell’esistente e la rigenerazione urbana, si bloccano le dinamiche di mobilità, si scoraggia l’occupazione giovanile, si compromette la coesione sociale. Andrebbero potenziati i fondi per l’housing sociale, che venga rilanciato il patrimonio pubblico inutilizzato, che si incentivino le imprese a costruire in modo sostenibile, accessibile e inclusivo. Servono politiche che vadano oltre l’assistenzialismo e che promuovano l’integrazione tra urbanistica, lavoro e servizi. E serve anche un cambio culturale: la casa non può essere solo un asset finanziario. Deve tornare ad essere ciò che è sempre stata: un luogo di vita, di relazioni, di cittadinanza.
Il diritto alla casa è uno dei capisaldi della nostra Costituzione. Ma oggi è un diritto a geometria variabile, garantito a chi può permetterselo, negato a chi non ha voce. È tempo di restituire centralità politica e dignità sociale al tema dell’abitare. Credo che abitare bene significhi anche produrre meglio, vivere con più serenità, costruire comunità più forti. Ed è per questo che continueremo a sostenere ogni iniziativa volta a rendere il diritto alla casa non un privilegio, ma una condizione reale di cittadinanza. Per tutti.
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