
di Paolo Longobardi, Presidente onorario Unimpresa
C’è qualcosa di più di una semplice coincidenza geografica nel fatto che Antonio Filosa, nuovo amministratore delegato di Stellantis, sia nato a Castellammare di Stabia, la mia città, la città dove è nata anche Unimpresa. In quelle stesse strade, tra il mare e il Vesuvio, è cresciuto un sentimento di appartenenza che non si spegne con il tempo. Non è solo una questione di radici, ma di visione: quella che unisce chi crede che anche dal Sud, troppo spesso dimenticato, possono venire eccellenze in grado di guidare colossi industriali globali.
Filosa non è soltanto un manager brillante, ma anche, per me, un parente. E se queste mie parole possono sembrare segnate da un pizzico di orgoglio personale, vi assicuro che è ben più profondo: è l’orgoglio meridionale di chi sa che competenza, tenacia e visione possono germogliare anche dove per decenni si è investito troppo poco. La sua nomina non è solo un fatto di carriera, ma un simbolo. Un segnale importante che arriva in un momento cruciale per il sistema manifatturiero italiano, per l’intera filiera dell’automotive e per le migliaia di piccole e medie imprese che vi orbitano attorno.
Perché Stellantis non è solo un produttore di auto. È e deve tornare a essere ancora di più una costellazione di fabbriche, officine, centri di progettazione e laboratori d’innovazione. È un mondo che ha generato lavoro, reddito, futuro e deve tornare a quei fasti. E troppo spesso ci si dimentica che l’Italia, e il Mezzogiorno in particolare, hanno ancora molto da dire. Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi non sono soltanto nomi di stabilimenti: sono simboli di una storia industriale che ha contribuito a costruire il Paese.
Ecco perché guardiamo con attenzione e con speranza al nuovo corso avviato da Filosa. Il fatto che abbia iniziato il suo mandato visitando gli stabilimenti produttivi è un gesto non formale, ma sostanziale. È il segnale di chi crede che le fabbriche siano il cuore pulsante dell’industria e non un retaggio da dismettere. È il segnale, anche, che il futuro dell’auto non potrà prescindere dall’Italia e dalla sua filiera, composta per oltre il 90% da piccole e medie imprese, spesso familiari, che investono, assumono, innovano, pur tra mille difficoltà.
Si discute di transizione ecologica e rivoluzione digitale, non possiamo permetterci di perdere il patrimonio industriale costruito nei decenni. Servire un piano, serio e condiviso, per rilanciare la produzione di automobili in Italia. Servi il coraggio di investire nel Sud non come gesto caritatevole, ma come scommessa di crescita. Serve una nuova alleanza tra grandi gruppi industriali e tessuto imprenditoriale locale, fatta non di subalternità, ma di reciproco riconoscimento.
Unimpresa è nata a Castellammare di Stabia proprio con questo spirito: difendere e valorizzare il ruolo delle piccole imprese, dare loro voce, accompagnarle nel cambiamento. E oggi, con un uomo di Castellammare alla guida di uno dei maggiori gruppi automobilistici mondiali, sentiamo rafforzare la nostra responsabilità, ma anche la nostra speranza.
Perché l’Italia ha bisogno di ritrovare fiducia nella sua capacità di fare, di costruire, di guidare. E se questo nuovo corso saprà partire da qui, dalle radici, dal Sud, dalle fabbriche, allora potremo davvero parlare di una nuova primavera industriale.
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